Sostenibilità

Energie pulite Un pasticcio all’italiana

Tre miliardi. È quanto abbiamo sborsato con il contributo in bolletta per le rinnovabili. E allora come mai siamo gli ultimi in Europa su questo fronte?

di Christian Benna

Tre miliardi di euro. Quasi una manovra bis, di quelle che spuntano a metà anno per correggere gli squilibri di cassa dello Stato. È la montagna di denaro sborsata dagli italiani, solo nel 2005, per finanziare lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Una gabella, di circa il 10% sui consumi, inserita nelle bollette degli utenti domestici, sotto la voce A3, in cambio della promesse di energia pulita. E un salasso anche per le piccole imprese, a cui toccano le tariffe più alte d?Europa (oltre 700 milioni di euro, dati Confartigianato, solo di tassa per le rinnovabili), perdendo colpi in competitività pur di dare una mano all?ambiente.

Fin qui tutto (o quasi) bene. Perché i conti non tornano affatto. Dal 1997 ad oggi il contributo alla produzione delle fonti non fossili è diminuito dal 16 al 15,3%, ben lontano dall?obiettivo del 25% e dalle speranze del protocollo di Kyoto, gettando l?Italia in fondo alla classifica europea. Secondo le associazioni ambientaliste, dal WWF a Legambiente, è il segno palese che le forme di incentivazione fin qui promosse non funzionano.

L?inghippo assimilate

Anzi – a differenza dei successi del conto energia in Germania – hanno peggiorato la situazione. Prima con il controverso ex Cip6, introdotto dal governo Amato nel 1992, che in virtù di concessioni ventennali continua a sostenere la produzione di 51mila GWh l?anno (il 17,7% del saldo energetico). Di questi, solo 9mila GWh provengono da fonti ?realmente? rinnovabili. Il resto, circa il 70% degli aiuti, va sotto il burocratese delle ?assimilate?. Un concetto, più volte messo sotto infrazione dall?Unione Europea, che pone sullo lo stesso piano – in termini di finanziamento – inceneritori di residui industriali e rifiuti non biodegradabili. Niente da stupirsi quindi se nella top18 italiana dei fornitori di energia compaiono, oltre ai big del comparto, anche industrie non propriamente verdi come il gruppo Saras dei Moratti (per lo smaltimento degli scarti petroliferi) e le cartiere Burgo (per quello degli scarti di cellulosa).

Va un po? meglio con i certificati verdi, il meccanismo di sostegno pensato nel 1999 da Bersani per riordinare il settore energetico dopo la valanga di critiche sul regime Cip6. Ma anche in questo caso le critiche non mancano. «Anziché essere un virtuoso sistema di mercato», spiegano al WWF, «quello dei certificati è una nicchia di privilegi. In pratica solo il 50% della produzione e importazione di energia elettrica paga l?obbligo dei certificati, perché le esenzioni sono numerose».

E su questo fronte i Verdi hanno annunciato battaglia, almeno per arginare i danni. Il lungo braccio di ferro tra il ministro dell?Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio e il Consiglio dei ministri si è tradotto in un decreto legge autonomo (ancora in corso di approvazione) che mette fuori gioco dai contributi i nuovi termovalorizzatori autorizzati. Per quelli già operativi, il conto è in atmosfera e nella prossima bolletta.

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